Riforma e controriforma attraverso la dinastia Tudor – parte 7/12

La fine di Anna Bolena

Ormai tutti temevano l’ira di Enrico VIII, ira che finì per colpire anche la donna che aveva amato intensamente e per la quale aveva messo in discussione il proprio matrimonio, nonostante ciò avvenne anche per la necessità di generare un figlio maschio. Fu proprio questa necessità, ancora una volta, a generare la crisi dopo una serie di aborti da parte di Anna, l’ultimo dei quali sembrava proprio aver causato la perdita di un figlio maschio.

Ad accentuare la crisi contribuì anche il fallimento dei negoziati che avrebbero dovuto portare al fidanzamento di Elisabetta con un principe francese per via dei dubbi sulla sua legittimità poiché, al di fuori dell’Inghilterra la sentenza di annullamento di Cranmer non era riconosciuta da tutti.

A far degenerare la situazione fu proprio l’ultimo aborto di Anna, cui abbiamo accennato, seguito ad un incidente occorso ad Enrico nel corso delle consuete giostre e tornei.

Contrariamente all’ascesa di Anna che era stata lenta, faticosa e mai reale, la sua caduta fu tanto rapida quanto drammatica: si riunì una commissione che aveva il compito di raccogliere prove che la condannassero per tradimento ed, infatti, fu accusata di adulterio con cinque uomini. Tra il 17 e il 19 maggio 1536 vennero uccisi i presunti amanti della regina e la regina stessa, decapitata. In pochi mesi Enrico aveva definitivamente perso le due donne che erano state sue mogli: pochi mesi prima anche Caterina era morta, di morte naturale pur se fra mille sofferenze, torti e disagi.(1)

L’atteso erede

Il giorno della morte di Anna, Enrico dichiarò di non avere la minima intenzione di pensare al matrimonio. Il giorno dopo smentì quanto dichiarato rendendo ufficiale il suo fidanzamento con Jane Seymour, a cui stava pensando già da tempo, ma -finchè Anna Bolena fu in vita- la donna aveva rifiutato le attenzioni del sovrano. Ad accrescere l’attrazione del re per lei, contribuì il fatto che la famiglia dalla quale proveniva si era dimostrata, nel tempo, molto prolifica e questo portava Enrico a pensare che Jane avrebbe potuto finalmente dargli l’atteso erede.(2)

Il 30 maggio vennero celebrate le nozze, dopo aver ricevuto una dispensa papale che rendeva possibile l’unione.(3)

Questo nuovo legame mutò le condizioni della successione dinastica: Elisabetta venne disconosciuta e Maria fu dichiarata illegittima. Poco tempo dopo queste decisioni di Enrico, l’unico figlio maschio che aveva avuto, Henry Fitzroy, morì e questo rendeva l’Inghilterra priva di un erede al trono.(4)

Circa un anno dopo la situazione si risolse felicemente con la nascita di Edoardo ma a questa gioia si accompagnò la morte della madre poche settimane dopo il parto.(5)

L’evoluzione della politica religiosa di Enrico VIII

Poco prima di questa gioiosa nascita, il regno di Enrico era stato turbato da una serie di rivolte che rappresentarono proprio il momento più critico della storia inglese dal momento in cui egli era salito al trono. I primi focolai si accesero nel Lincolnshire nell’ottobre 1536 e i soldati impiegati da Enrico per frenare la sommossa erano numericamente molto inferiori rispetto ai rivoltosi e questo impedì di sopraffarla subito. La causa di queste rivolte va individuata nello scontento popolare, sia dei nobili sia dei signorotti locali, che si dimostravano insofferenti di fronte alla crescente autorità del re ma, per coloro che vi presero parte, esse rappresentarono una protesta contro tutto ciò che il re aveva fatto o tentato di fare negli ultimi dieci anni, ed in particolare contro l’ultimo attacco sferrato da Enrico alle tradizioni religiose ovvero la distruzione dei monasteri.(6) Ad unire i rivoltosi contribuivano fattori diversi: vi era chi auspicava un ritorno alla religione tradizionale e la restaurazione delle abbazie e dei priorati, chi intendeva rifarsi contro i signori che li avevano depredati, chi voleva meno tasse, chi una riforma delle elezioni parlamentari e la restaurazione di Maria come erede al trono ed altri, molto semplicemente, si limitavano a seguire le scelte dei loro signori.

Enrico fece comunicare ai capi della rivolta che sarebbe stato concesso un perdono generale e che sarebbe stato convocato un parlamento per prendere in esame le richieste della popolazione anche se, probabilmente, si trattava di false promesse compiute allo scopo di temporeggiare fino a quando i rivoltosi non se ne sarebbero stancati. Una rivolta nello Yorkshire rese possibile un’accusa ai Pellegrini (dal nome assunto dalla rivolta “Pellegrinagio di Grazia”) rei di non aver tenuto fede ai patti: forze sufficienti si diressero al Nord per sedare la sommossa.(7)

Fu in occasione di un viaggio compiuto dal sovrano nel Nord del paese, nel 1541, con gli obiettivi di incutere timore negli ex-rivoltosi e nei nuovi potenziali tali e di incontrare Giacomo V di Scozia(8), che migliaia di abitanti di quella regione gli andarono incontro e, inginocchiandosi, chiesero perdono per le scelleratezze compiute in passato compiendo un atto di sottomissione.(9)

A turbare l’equilibrio del regno di Enrico contribuì l’incontro, avvenuto ad Aigues-Mortes nel 1538, tra Francesco I e Carlo V al fine di stipulare un trattato di pace decennale. Questo trattato assunse ben presto carattere di una crociata per avviare una nuova offensiva dell’Europa cattolica guidata dall’unione delle due grandi casate del cattolicesimo, gli Asburgo e i Valois. Anche papa Paolo III aveva riunito un concilio per tentare di ricomporre lo scisma e, per tentare di ricondurre re Enrico VIII sulla sua strada, fece valere nuovamente l’arma della scomunica: dopo tre anni dal momento in cui il suo predecessore aveva emanato la bolla di scomunica, egli ne emanò una di conferma e, da quel momento, l’Inghilterra diventava una terra da riconquistare in nome della fede.

Era ovvio che Enrico avesse bisogno di trovare un nuovo alleato; il problema era capire chi avrebbe potuto rivelarsi utile a tale scopo. Di primo acchito la scelta migliore sembrava essere quella che ricadeva sui protestanti tedeschi e, del resto, contatti tra inglesi e luterani vi erano stati tanto sul piano politico quanto su quello teologico e, nel 1536, dei delegati inglesi si erano incontrati con i capi luterani a Wittemberg per concordare i punti essenziali di una dichiarazione unitaria di fede. Tra l’altro, proprio in quel periodo, i principi luterani avevano fondato la Lega di Smalcalda, un’organizzazione politica con propri funzionari, denaro e truppe: era ovvio che più fosse aumentata la potenza delle Lega e più vantaggiosa sarebbe stata l’alleanza. Si doveva “solo” trovare un accordo sul piano teologico ma questo non fu possibile per i diverbi su alcuni punti fondamentali: gli inglesi si rifiutarono di condannare la celebrazione privata delle messe e di acconsentire al matrimonio dei preti.

Dal momento in cui, nel 1536, Enrico aveva promulgato i Dieci Articoli la fede in Inghilterra aveva ricevuto una nuova impronta e la Chiesa d’Inghilterra si era definita come a metà tra l’ortodossia cattolica e le dottrine riformiste sul battesimo, la penitenza e l’eucarestia sancendo, con l’omissione di tutti gli altri sacramenti, una frattura netta con la Chiesa cattolica che schierava il paese dalla parte della Riforma.

Già nel 1538 un numero molto alto di monasteri e conventi era stato distrutto e grande scalpore -nonchè turbamento- aveva suscitato la distruzione del luogo più sacro della cristianità: la tomba di San Tommaso Becket a Canterbury.Nonostante ciò, nel maggio 1539 i Dieci Articoli furono sostituiti da una nuova formulazione dottrinale, i Sei Articoli, che segnò il ritorno all’ortodossia cattolica ed il rifiuto definitivo del luteranesimo nonché la vittoria dei conservatori del Consiglio sui protestanti moderati.(10)

Nel frattempo, la minaccia di un’invasione da parte franco-spagnola si faceva sempre più pressante ma, quando i preparativi volgevano al termine, Francesco I fece un sorprendente gesto di riconciliazione. Tuttavia, spie inglesi in Francia consigliarono Enrico di non lasciarsi ingannare ma, quando le navi imperiali giunsero nei pressi delle coste inglesi, si ebbe modo di appurare che non nutrivano sentimenti ostili.(11)

A questo punto, Enrico decise di prestare nuovamente attenzione alla donna che avrebbe potuto stargli accanto, in veste di regina. Dopo anni di tentativi, di proposte da parte dei suoi consiglieri, il re sembrava aver trovato la donna che avrebbe potuto rappresentare un buon partito: Anna di Clèves.

Clèves era un ducato situato nella regione del Reno ai confini con le terre olandesi in mano al casato degli Asburgo e rappresentava, pertanto, un luogo di strategica importanza in vista di un possibile futuro conflitto tra Enrico e Carlo. Inoltre, il duca Guglielmo, per quanto non fosse luterano, intratteneva rapporti con i protestanti tedeschi ed era personalmente legato a due influenti membri della Lega di Smalcalda: il grande elettore luterano di Sassonia e Filippo d’Assia. Quindi, da un punto di vista politico, la sorella del duca sembrava rispondere alle necessità del re inglese.(12)

Il quarto matrimonio di Enrico, però, non fu felice e -se non fosse stato per i motivi politici che lo inducevano a legarsi ad Anna di Clèves- avrebbe annullato il fidanzamento. Evidente dimostrazione dell’infelice unione sta nel fatto che re Enrico, noto per la fama di libertino, non riuscì a consumare il matrimonio tanto era il ribrezzo che la nuova moglie suscitava in lui.

Se inizialmente, l’alleanza con il ducato di Clèves si era rivelata effettivamente utile perché aveva indebolito la posizione di Carlo V, nel momento in cui i rapporti tra quest’ultimo e Francesco I si fecero -ancora una volta- tesi Enrico non ebbe più bisogno del sostegno del duca Guglielmo, dei suoi amici luterani e della Lega di Smalcalda. A favorire il suo desiderio di separarsi da Anna contribuì l’emergere di nuovi elementi circa la validità del matrimonio.(13)

Cromwell tentò di ritardare il più possibile il divorzio, poiché esso avrebbe rappresentato il fallimento della politica da lui intrapresa a favore dei protestanti ed avrebbe contribuito al trionfo del suo acerrimo nemico, il duca di Norfolk, zio di Caterina Howard, la nuova favorita del re. A sorpresa, nel corso di una seduta del Consiglio, Cromwell fu arrestato ed accusato di tradimento e fu tenuto in vita solo finchè fu utile per annullare il quarto matrimonio di Enrico. Quando ciò avvenne, fu mandato a morire e -per giustificare l’accusa rivoltagli, ovvero l’aver protetto gli eretici- altri uomini vennero condannati a morte.(14)

Poco tempo dopo, per la quinta e penultima volta, Enrico si sposò e la prescelta fu Caterina Howard. Ironia della sorte, la nuova moglie di Enrico VIII era cugina di Anna Bolena e, come lei, fu accusata di adulterio e condannata a morte per decapitazione nel febbraio 1542, in quello stesso luogo in cui -anni addietro- era terminata la vita di Anna.(15)

Da subito i consiglieri esortarono Enrico a contrarre un nuovo matrimonio per la necessità di avere eredi maschi(16) dal momento che si era rimasti col fiato sospeso da quando, nell’estate del 1541, Edoardo si era ammalato.(17) Il 12 luglio 1543, nel salotto privato della regina ad Hampton Court, il vescovo Gardiner unì Enrico in matrimonio con Caterina Parr.(18) Ella era una donna virtuosa e dotata di grande umanità, la sua devozione religiosa si esprimeva non tanto nell’austerità quanto nello studio e, negli anni di matrimonio con il re, scrisse “The lamentation of a sinner” in cui attribuiva ad Enrico il merito di aver liberato l’Inghilterra dalla schiavitù e dal servaggio di Roma conducendola ad una fede più pura. Ella sosteneva il primato della fede secondo un’ottica vicina al luteranesimo e concesse protezione ai riformisti protestanti.(19)

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(1) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 226-230
(2)  Ibidem, pp. 236-237
(3) Enrico e Jane discendevano entrambi da Edoardo III ed un tale legame di sangue impediva, per la chiesa, il matrimonio.
(4)  Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p. 238
(5)  Ibidem, pp. 244-245
(6)Per maggiori informazioni si rimanda a Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 238-243
(7)  Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p. 241
(8)Per maggiori informazioni si rimanda a Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 275-276
(9)  Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p.280
(10)  Ibidem , pp. 251-254
(11)  Ibidem, pp. 255-257
(12)  Ibidem, p. 261
(13) Ibidem, pp. 265-267
(14) Ibidem, pp. 267-271
(15) Per informazioni circa le accuse mosse a Caterina Howord si veda Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 281-285
(16)  Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p. 287
(17)  Ibidem, p. 281
(18) Per informazioni sulla figura della sesta moglie di Enrico VII si veda Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 288-290
(19) Per ulteriori informazioni circa la fede religiosa di Caterina Parr si veda Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 312-314

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Riforma e controriforma attraverso la dinastia Tudor – parte 6/12

La riforma della Chiesa anglicana

A partire dal 1532 Enrico promulgò una serie di editti che avevano portato ad una modifica della Chiesa tanto nella forma quanto nella sostanza, troncando gli antichi legami con Roma e con il papa, assoggettando il clero al sovrano tanto sul piano spirituale quanto su quello secolare. Due misure in particolare vanno ricordate: l’Atto delle annualità, che impediva ai prelati inglesi di inviare a Roma i proventi del primo anno delle loro sedi, pratica in uso da secoli, e l’Atto per la limitazione dei ricorsi, con cui si negava che il vescovo di Roma avesse in Inghilterra maggiore autorità di qualsiasi altro vescovo straniero. Inoltre, si privava il clero della facoltà di promulgare leggi in autonomia, di giudicare i casi di natura spirituale, di nominare vescovi e abati poiché con l’Atto di supremazia era stata affermata la sovranità del re sulla Chiesa d’Inghilterra.
Dopo aver privato il papa di ogni potere, il Parlamento aveva emanato l’Atto di successione che indicava nel figlio di Anna Bolena l’unico erede legittimo al trono e imponeva ai sudditi un giuramento in appoggio della nuova dinastia. Questo giuramento aveva un significato più profondo di quel che poteva sembrare a prima vista: chi riconosceva la discendenza di Anna implicitamente negava il potere del papa e riconosceva la sovranità del re sulla Chiesa.(1) Nei fatti, da quel momento la trasformazione della Chiesa si intrecciava con gli interessi dinastici: i sudditi avrebbero dovuto scegliere tra il papa ed il re, e chi si fosse opposto al re avrebbe fatto la fine che spettava ai traditori.
In realtà, all’origine di quelle trasformazioni stavano le accuse mosse al clero in seguito alla caduta di Wolsey, clero che avrebbe consentito al pontefici di appropriarsi di diritti che andavano al di là della nomina dei sacerdoti e al caso dei giudizi riguardanti il diritto canonico. Le critiche di Enrico al clero risalivano ancora a più tempo addietro e a partire dal 1530 aveva iniziato ad elaborare una nuova concezione dei rapporti tra Chiesa e re. Infatti in quel periodo, oltre che a tentare di procurarsi testi che avrebbero potuto risolvere la questione inerente il suo matrimonio con Caterina, il re aveva raccolto anche altri passi che lo interessavano e che, riuniti in un testo, sostenevano la tesi per cui l’Inghilterra era un regno autonomo e, pertanto, non soggetto all’autorità papale. Questo aveva fatto maturare in Enrico due idee: innanzi tutto che, in qualità di sovrano, Dio gli avesse affidato la responsabilità delle anime dei suoi sudditi, poi che nel potere della corona fosse insita una sovranità superiore che gli attribuiva un’autorità suprema sia sulla Chiesa sia sul regno. Il motivo per cui il sovrano non aveva sviluppato queste idee va spiegato con la speranza da parte sua che una sentenza papale annullasse il suo primo matrimonio e non aveva voluto precipitare una frattura -che senz’altro sarebbe stata irrisolvibile- con la Chiesa romana.
A trasformare le idee di riforma clericale, di immunità dalla giurisdizione papale e di sovranità sulla Chiesa in chiave politica fu Thomas Cromwell che, nel 1534, era diventato primo ministro del re(2)

Questa trasformazione radicale portò anche a punire quanti non si rimettevano alla volontà del re; due morti in particolare sconvolsero non solo l’Inghilterra ma l’Europa intera: quella del vescovo Fisher e quella di Tommaso Moro.
Nel momento in cui Fisher salì al patibolo dichiarò che la sua condanna a morte era dovuta al desiderio di preservare intatto l’onore di Dio e della Santa Sede: egli, oltre ad osteggiare la supremazia del re, aveva anche scritto a Carlo V per esortarlo ad invadere il paese allo scopo di ripristinare con la forza l’autorità papale.
Moro, invece, venne giustiziato per una colpa minore ma di uguale peso agli occhi del re: anche lui venne accusato di tradimento e questo perché rifiutò il suo assenso alla successione e su tutto il resto si limitò a tacere di un silenzio che, comunque, aveva molto da dire. Con le leggi introdotte a partire dal 1535 chi non si dichiarava esplicitamente consenziente era un traditore.
Con queste morti terminò la fase iniziale della riforma inglese alla quale il popolo aveva reagito con sorprendente accondiscendenza: per quanto si fosse opposto al divorzio, accettavano la rottura con Roma e i colpi mirati a distruggere l’indipendenza del clero in quanto pare che la Chiesa venisse considerata come uno spregevole oppressore.
Le morti di Fisher e di Moro, però, suscitarono un’opposizione crescente a tutto quanto la riforma parlamentare aveva prodotto e questo portò al ricorso di mezzi di repressione, come le leggi sul tradimento.(3)

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(1) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008,  p. 216
(2)  Ibidem, 2008, pp. 217-219
(3) Ibidem, p. 221-225

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Riforma e controriforma attraverso la dinastia Tudor – parte 5/12

L’arrivo a corte di Anna Bolena

La situazione subì, in qualche modo, un’impennata quando a corte, nel 1522, giunse Anna Bolena(1), sorella di Maria, un tempo amante del re. Dopo esser stata allontanata da corte da Wolsey, vi venne riammessa nel 1525 o nel 1526. In questo periodo la giovane Bolena era all’apice della sua bellezza ed il re se ne innamorò perdutamente come dimostra anche il fatto che, per lui, Anna non doveva essere una distrazione dal problema della successione, come era stata -ad esempio- Bessie Blount, ma doveva incarnare la risoluzione del suo problema e non in veste di amante ma di moglie del re.(2)

Questo nuovo amore diede ad Enrico la forza per dedicarsi con rinnovato ardore alla situazione del suo paese: iniziò una serie di trattative con i francesi, in vista di un matrimonio della figlia Maria con il re francese Francesco I o con un suo figlio, e questo portò ad un deterioramento dei rapporti con l’imperatore. Quest’ultimo continuava a ricevere l’appoggio di Caterina che, nonostante avesse trascorso in terra inglese la maggior parte della sua vita, non poteva fare a meno di identificarsi con gli interessi del nipote Carlo V. L’atteggiamento di Caterina non poteva che peggiorare la sua situazione matrimoniale e lo stesso cardinale Wolsey iniziò a considerarla come un elemento pericoloso.(3) D’altro canto, il disprezzo era reciproco dal momento che la regina riteneva Wolsey responsabile di ciò che le stava accadendo, certa che fosse colpa di quell’uomo se il marito aveva iniziato ad interpellare i più illustri uomini di chiesa e teologi perché si esprimessero circa la validità del suo matrimonio.(4)

Nel 1527 Enrico diede via alle pratiche che gli avrebbero consentito di sciogliere l’unione con la regina. Non è facile capire che cosa avesse spinto il re ad agire proprio in quel momento e non si può seguire l’evoluzione del pensiero di Enrico in quanto le testimonianze che ci sono giunte rivelano non quel che il re pensava realmente ma quel che egli voleva si sapesse.(5) Precisiamo che ciò a cui puntava Enrico non era il divorzio ma la conferma dell’invalidità del suo matrimonio e -di conseguenza- il suo annullamento. Questo era un compito che avrebbe potuto essere svolto da Wolsey che in virtù di legato papale sembrava avere l’autorità sufficiente; a ciò si aggiungeva l’esistenza di precedenti ai quali poter far riferimento, come dimostravano le sentenze che avevano sciolto sia il matrimonio di Margherita Tudor sia di Charles Brandon.(6) Ciò in cui sperava Enrico era l’istituzione di un solenne tribunale inglese presieduto dal cardinale in veste di legato pontificio affinchè emettesse una sentenza di condanna dell’illecita dispensa -concessa tempo addietro per consentire l’unione di Enrico e Caterina– che portasse alla separazione dalla moglie senza né scandalo né clamore. Forse sarebbe andato tutto come previsto se, a complicare la situazione, non fosse giunta la notizia che Roma era stata conquistata dalle truppe tedesche e spagnole di Carlo V.

Wolsey si era reso immediatamente conto del peso che questi eventi avrebbero potuto avere sulla soluzione del problema del re ma riteneva anche che vi fossero problemi di natura più urgente: il pontefice era nelle mani del potere secolare e la Chiesa aveva bisogno di un salvatore. Wolsey aveva intenzione di essere proprio lui quel salvatore, progettando di convocare i cardinali ad Avignone e di presiedere una corte papale in esilio, ma il suo progetto fallì.(7)

Nel frattempo sembrava aver trovato, però, una soluzione per il caso del sovrano: fino a quel momento nelle discussioni teologiche e di diritto canonico era stato dato un gran peso alla verginità o meno di Caterina al momento delle nozze con Enrico ma Wolsey comunicò che, secondo la legge canonica, il fatto che Caterina e Arturo si fossero uniti in matrimonio era un fatto sufficiente ad impedirne una nuova unione in quanto si trattava di “impedimento di pubblica onestà”.

Nonostante ciò, Enrico aveva iniziato a seguire una via alternativa, all’insaputa del cardinale. Aveva, infatti, fatto redigere due bolle che avrebbero dovuto essere consegnate al papa: la prima gli concedeva la possibilità, una volta libero da Caterina, di sposare qualsiasi donna avesse voluto […]. Il contenuto della seconda bolla era a dir poco sorprendente: di fatto, essa legittimava la bigamia. Se non si fosse trovato il modo per invalidare il matrimonio di Enrico con Caterina […] il papa avrebbe dovuto consentire al re di prendere una seconda moglie.(8)

Al soglio pontificio sedeva allora Giulio de’ Medici, papa Clemente VII, che si trovò conteso tra due fuochi: da una parte gli veniva chiesto di assecondare le ragione di re Enrico VIII che, lo ricordiamo, era stato nominato difensore della fede; dall’altra si trovava ancora prigioniero dell’imperatore Carlo V che, come ben si sa, in questa questione appoggiava la zia Caterina d’Aragona. Clemente VII, come era solito fare, tentennò.(9)

Enrico si decise ad inviare in Italia altri due inviati, gli avvocati Edward Fox e Sthepen Gardiner, i quali trovarono il papa in condizioni miserevoli. Ebbero però poca pietà delle sue sofferenze: loro compito era persuadere il papa ad appoggiare e risolvere serenamente la situazione del re inglese, poco importava se per raggiungere il loro scopo avessero dovuto aggiungere minacce alle parole proferite. E, di fatto, fu ciò che fecero:prima di lasciare l’Italia, i due riferirono al papa che, se Enrico non avesse ottenuto soddisfazione dalla corte papale, avrebbe trovato un altro modo per placare la propria coscienza e per liberarsi dell’attuale moglie […] ed aggiunsero che se il re avesse cercato altrove una soluzione, sarebbe forse stato costretto a vivere al di fuori dalle leggi della santa Chiesa.(10)

Nel frattempo, mutava a corte la condizione di Anna. Infatti, i postulanti iniziarono a rivolgersi a lei come un tempo si riferivano a Caterina: per quanto non fosse ancora regina pareva destinata a diventarlo.

Ad occuparsi del problema del re era, in quel momento, il cardinale Campeggio il quale, insieme a Wolsey, avrebbe dovuto presiedere un tribunale che aveva il compito di giudicare la validità della dispensa papale emessa da Giulio II per consentire il matrimonio tra Enrico e Caterina e, quindi, la legittimità del matrimonio. Questo in base alle direttive ufficiali ma, in realtà, Campeggio ne aveva anche ricevute altre segrete che contrastavano con il fine apparente della sua missione ufficiale.(11)

Non solo la maggior parte dei membri della corte ma anche il popolo dimostrava sempre più il suo appoggio alla causa di Caterina; Enrico tentò di rivolgersi loro con un discorso volto a spiegare i motivi per cui doveva annullare il suo matrimonio, assicurando ai sudditi l’affetto e l’alta considerazione che aveva per la moglie.(12)

Un altro ostacolo al desiderio del re fu la salute malferma del papa, tanto che lo si diede per morto, ed Enrico ordinò ai suoi due inviati in Italia di ricorrere a qualsiasi mezzo di convinzione pur di essere certi che a sostituire Clemente VII in caso di morte sarebbe stato Wolsey, o piuttosto Campeggio, poiché dall’appoggio del papa dipendeva l’esito della controversia che opponeva Enrico alla moglie.

Alla fine, il re decise di dare licenza di procedere a Campeggio e Wolsey -che avrebbero potuto emanare una sentenza di autorità- e questi convocarono il tribunale legatizio per il 31 maggio 1529.(13) Lacerato tra la forza inspiegabilmente superiore degli argomenti di Enrico e la volontà del papa di evitare una sentenza, Campeggio giocò tra mille angosce la sua ultima carta. Quando, il 23 luglio, il procuratore del re avanzò la richiesta formale di giudizio il legato si alzò e annunciò che, poiché in quel periodo in tutti i tribunali di Roma le udienze erano sospese, era anch’egli obbligato a sospendere le sedute e a riconvocare il tribunale in ottobre.(14) Con ciò si concluse il primo atto della lotta di Enrico per ottenere il divorzio. Negli anni seguenti, l’atteggiamento di devozione maritale nei confronti di Anna, non ancora sua moglie, sdegnava i visitatori stranieri così come il popolo. Addirittura il re, risalendo secoli addietro, riuscì a trovare antenati illustri ai Bolena e dare alla loro famiglia un nuovo prestigio, cosa che rese Anna oggetto di facezie tra i cortigiani e suscitò nuovamente lo sdegno dei sostenitori di Caterina tanto da sfociare in propositi di violenza omicida.

Enrico continuò a studiare intensamente il suo caso e Wolsey uscì di scena e, dopo esser stato accusato di aver abusato della propria autorità legatizia, fu privato delle sue cariche secolari e di gran parte delle sue ricchezze.(15) Se in un primo momento Enrico si lamentò del caos lasciato dal ex-cardinale tra gli affari di governo, con il passare del tempo si rese conte della vastità e della complessità dei compiti che il suo cancelliere aveva svolto nel corso degli anni e prese ad apprezzarne sempre più l’operato. Nonostante l’immensa mole di lavoro, Enrico -insoddisfatto dei suoi consiglieri- preferiva farsi carico di tutto.(16)

Dopo esser stato minacciato dal papa, il re lo accusò di ignoranza e simonia, minacciando di risolvere la questione all’interno del suo paese, senza tenere in considerazione l’autorità pontifica. A questo punto, Carlo V iniziò a ventilare l’ipotesi di una guerra per difendere la causa della zia ed anche i potenti di tutta l’Europa cattolica lo avversavano; egli cercò sostegno tra le forze dell’opposizione religiosa, ovvero tra i seguaci di Martin Lutero, quello stesso Martin Lutero contro il quale aveva scritto un libro, ma anch’egli appoggiò la causa della regina.(17)

Incoronazione e matrimonio con Anna

Nel gennaio 1533 Enrico decise di sposare Anna, in gran segreto e alle presenza di pochissime persone; solo tre mesi dopo l’evento la nuova regina si presentò in pubblico in vesti regali. La sua incoronazione avvenne nel maggio 1533 e i sudditi notarono subito il suo già avanzato stato di gravidanza.

In quello stesso periodo il nuovo arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, aveva iniziato le pratiche per por fine definitivamente alla questione del rapporto tra il re e Caterina: il loro matrimonio era stato dichiarato non valido il 23 maggio e si era affermata la legittimità e l’indissolubilità del legame tra Enrico e Anna. Questo episodio è la dimostrazione del fatto che il re aveva deciso di scavalcare il papa eleggendo un vescovo inglese ad arbitro della sua coscienza,(18) cosa che lo avrebbe portato al prepotente distacco dalla Chiesa cattolica.

In data 11 luglio 1533 papa Clemente VII emanò una sentenza di scomunica, un provvedimento definito e inappellabile anche se il pontefice lasciò uno spiraglio aperto alla riconciliazione che sarebbe stata possibile se Enrico avesse ripreso con sé Caterina e avesse mutato il proprio modo di vivere. Il sovrano non si diede neanche pena di rispondere.

Oltre che a rovinare i rapporti con la Chiesa, il nuovo matrimonio di Enrico contribuì anche a mutare, in maniera significativamente negativa, la sua immagine all’estero.(19)

Ogni turbamento del re veniva, però, attenuato dalla gioia della gravidanza di Anna, certo che avrebbe portato alla nascita del tanto desiderato figlio maschio. Il 7 settembre 1533 nacque Elisabetta.(20)

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(1)Per informazioni circa la vita di Anna Bolena si rimanda a Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 155-158
(2) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p. 158
(3) Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, p. 93
(4) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p. 161
(5)Per conoscere le varie ipotesi che si sono diffuse circa i motivi che condussero Enrico a tale scelta si veda Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 165-167
(6)Per informazioni vedi Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 167-168 e Erickson C.,Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, pp. 89-91
(7)Per la conoscenza dei fatti si rimanda a Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 169-171 e 173-174.
(8) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 174-175
(9)Per un breve ma interessante ritratto del papa vedi Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 176-177
(10) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p. 180
(11)Per conoscere nel dettaglio le direttive segrete ricevute vedi Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 188-189
(12) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p. 190
(13)Per informazioni più precise si veda Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 193-195
(14) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p. 196
(15) Ibidem, pp. 197-201
(16) Ibidem , pp. 203-204
(17) Ibidem, pp. 204-205
(18) Ibidem , p. 207
(19) Ibidem, p. 210
(20) Ibidem, p. 212

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Riforma e controriforma attraverso la dinastia Tudor – parte 4/12

Il problema della successione

Il 1521 è l’anno in cui comincia a farsi sempre più prepotente il problema della successione: dopo 12 anni di matrimonio, Caterina aveva avuto quattro gravidanze di cui solo una si era conclusa positivamente con la nascita di Maria, una bambina sana e robusta; gli altri figli erano morti o al momento stesso del parto o nel giro di poco tempo. (1)

Reale era dunque il problema che portava chiunque ad interrogarsi su chi avrebbe potuto succedere ad Enrico se questi fosse morto prima di avere un erede maschio. Vi erano alcuni possibili candidati: il duca di Buckingam, uomo di grande potere e molto amato nel paese, che venne giustiziato per alto tradimento, Richard de la Pole, discendente degli York che poteva vantare l’appoggio francese, Giacomo, figlio di Margherita Tudor e Giacomo IV e Henry Brandon, figlio di Maria Tudor e Charles Brandon.(2)

Dal momento che Maria, la figlia che Enrico aveva avuto da Caterina, cresceva senza problemi e splendeva in intelligenza e acume si ritenne che la disgrazia che aveva investito la coppia reale a proposito della successione non poteva essere imputata neanche a Caterina (la possibilità di incolpare il re per ciò era non solo impensabile ma addirittura punibile). Si iniziarono a diffondere voci, ed il re se ne convinse, che il motivo per cui l’erede maschio tardava ad arrivare poteva essere ravvisato in una punizione divina, una punizione che colpiva la coppia perché il matrimonio era vissuto alle spalle di due peccati gravissimi: l’incesto(3) e l’omicidio(4). Per uomini e donne del XVI secolo questa spiegazione in termini di punizione divina era naturale e ci mise poco a trovare fertile terreno nella fervida immaginazione di cui era dotato Enrico. Per comprendere il rapporto che il re aveva con la religione basta pensare al modo in cui essa venne vissuta e interpretata dalle persone a lui più vicine nel primo periodo della sua vita: i genitori e la nonna Margaret.(5)

Nel momento in cui si iniziò a parlare del futuro matrimonio di Maria, promessa in sposa prima al Delfino di Francia (1518)(6)poi a Carlo V (1522), si presentò una clausola: nel caso in cui il padre non avesse avuto figli maschi, ella gli sarebbe succeduta. Quest’idea, però, turbava Enrico che si interrogava su quali legittime pretese al trono il futuro sposo avrebbe potuto avanzare.(7)

Nel frattempo, tuttavia, Enrico aveva preso una decisione: se non riusciva ad avere un figlio maschio che fosse concepito nel letto regale, avrebbe potuto farlo al di fuori di esso scegliendosi un’amante. E proprio da un’amante,Bessie Blount, il re ebbe un figlio maschio che venne chiamato Henry Fitzroy e che avrebbe potuto diventare erede del trono(8). Nonostante questa nascita, però, Enrico continuava ad essere tormentato circa la natura del suo matrimonio con Caterina: oltre che per i già noti problemi cui si è accennato, la regina entrò in menopausa e questo non le avrebbe consentito di avere altri figli. Il re, dunque, si interrogava sul da farsi: lo scopo del matrimonio era la procreazione ed il suo non avrebbe più portato tali frutti. Compito di un re cristiano era quello di assicurare il trono ad un erede e, se avesse tenuto in piedi il matrimonio con la regina, sarebbe venuto meno ai suoi obblighi morali. Ormai, inoltre, era convinto che Dio disapprovasse l’unione con la donna che era stata sua cognata e non avrebbe trovato pace finchè non l’avesse sciolta.(9)

A rendere più urgente la risoluzione della questione vi furono due eventi occorsi ad Enrico che misero in pericolo la sua vita.(10) Il re fece nominare Maria principessa del Galles e Henry Fitzroy fu condotto a corte ed innalzato ad una posizione che lasciava intendere quali fossero le intenzioni del sovrano in tal senso. Quello che era solo un bimbo di sei anni venne insignito del titolo di conte di Nottingham e poi di quei titoli posseduti da Enrico in gioventù, duca di Richmond e di Somerset.(11)

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(1)Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, p. 13-15, 18, 21-22, 41
(2) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 137-138
(3)Ricordiamo che Caterina fu, per pochi mesi, moglie di Arturo Tudor.
(4)L’omicidio a cui si fa riferimento è quello del Edoardo di York, Conte di Warwick, avvenuto nel 1499, per alto tradimento. In quanto erede degli York avrebbe potuto avanzare pretese al trono d’Inghilterra e minacciare la neonata dinastia Tudor perciò Enrico VII, sembra su pressione dei reali spagnoli che avevano appena promesso la figlia in sposa ad Arturo Tudor, diede ordine di uccidere l’uomo.
(5) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 26-31
(6)Per informazioni circa il fidanzamento con il Delfino di Francia si rimanda a Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, pp. 37-41
(7)Per maggiori informazioni si veda Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, pp. 66-67
(8) Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, p. 46 e pp. 68-69
(9) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 130-132
(10)Per avere notizie circa gli incidenti capitati al re si vada a Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, pp. 70-71
(11) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p. 134

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Riforma e controriforma attraverso la dinastia Tudor – parte 3/12

Enrico, la riforma, Lutero

Il giorno in cui si concluse la Dieta di Worms, il 25 maggio 1521, il segretario del re lo trovò intento a leggere il nuovo saggio di Lutero, “Sulla cattività babilonese della Chiesa”, opera con cui l’autore sosteneva che i sacramenti avrebbero dovuto essere soltanto due (il battesimo e la comunione), diversamente rispetto a quanto stabilito dalla Chiesa romana che aveva fissato a sette il numero dei sacramenti. Dalla lettura di quest’opera derivò lo spunto che Enrico attendeva da tempo per poter scrivere un’opera di stampo teologico, che decise di usare come un’arma contro Lutero stesso, sperando che quell’opera potesse essere utile nel concedergli un nuovo epiteto onorifico da aggiungere ai suoi titoli ufficiali.

La strategia adottata da Enrico e dal cardinale Wolsey fu di procedere con una denuncia formale dell’eresia attraverso un procedimento che si svolse sul sagrato della chiesa di San Paolo. In questa circostanza si informarono i presenti del fatto che il loro sovrano stava preparando una confutazione teologica alle eresie di Lutero, si maledissero lui e i suoi seguaci e si bruciarono i libri da lui scritti, di cui alcune copie erano state raccolte lì per l’occasione.

Il motivo per cui Enrico e Wolsey decisero di procedere in questo modo è dovuto, almeno in parte, all’accuratezza e verità delle critiche di Lutero: tanto la chiesa inglese quanto quella tedesca ormai non era molto credibile come maestra di fede; molti sacerdoti disonoravano il loro ufficio e prestavano cure all’estetica che non si confacevano al loro ruolo, avevano accumulato una ricchezza imbarazzante, ricoprivano più di un incarico mentre, in base al diritto canonico, ogni chierico avrebbe potuto reggerne soltanto uno. Nonostante ciò, le idee di Lutero non avevano ancora attecchito in Inghilterra: il popolo amava ancora recarsi in pellegrinaggio, cosa che veniva derisa dai luterani, credevano ancora nel potere delle indulgenze e si affrettavano a comprarle, amavano la rassicurante scadenza delle feste religiose nel ciclo del calendario agricolo.

Nel giugno del 1521, Enrico aveva terminato la sua opera “Difesa dei sette sacramenti contro M. Lutero” e ne inviò un buon numero a Roma, per il papa e per i vari cardinali. Leone X presentò l’opera in un concistoro segreto in seguito al quale annunciò la sua intenzione di voler concedere al re inglese il titolo di “difensore della fede”. Lutero replicò senza mostrare alcuna deferenza verso Enrico che definì come un “signorotto” e come un “dannato marciume verminoso”; il re non replicò a sua volta e lasciò ad altri questo incarico.

L’opera di Enrico non era così disinteressata come potrebbe sembrare (al di là del fatto che con essa riuscì ad ottenere un titolo onorifico cui aspirava, cosa che già mette in discussione l’assenza di fini nel redarre un testo di questo genere) poiché non era casuale che egli la scrisse proprio nel periodo in cui Carlo V diventato uno dei peggiori nemici del riformatore: da tempo, il re inglese sperava di stringere rapporti più stretti con lui.(1)

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(1) Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, pp. 57-63

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Riforma e controriforma attraverso la dinastia Tudor – parte 2/12

Enrico, la cultura e le armi

Fin dai primi momenti del suo regno, Enrico dimostrò quanta importanza avesse per lui la cultura ed invitò Erasmo da Rotterdam a stabilirsi in Inghilterra chiedendo al noto umanista di fare della sua “dottrina illuminata” un baluardo contro l’eresia e il lassismo religioso per difendere l’integrità della fede. (1)

Sempre all’inizio nel suo regno, nel momento in cui anche la nonna Margaret venne a mancare, Enrico fu -finalmente- padrone di sé stesso e fece subito capire a tutti il ruolo che egli attribuiva alla guerra e la volontà di cimentarsi in essa.(2) Diede ordine di istituire una guardia speciale, per far sì che i giovani della corte fossero avviati al servizio delle armi e diventassero un corpo di soldati scelti, in grado di stare sul campo in caso di guerra.

Probabilmente nessuno aveva dubbi circa il possibile obiettivo delle mire di Enrico: la Francia di Luigi XII, come si comprese dall’atteggiamento ostile del sovrano nei confronti dell’abate di Fècamp. Il re francese, per tentare di scongiurare la guerra, fece inviare otto carri che sembra contenessero forzieri d’argento destinati al re. Enrico VIII, che aveva ereditato le ricchezze del padre e poteva evitarsi preoccupazioni finanziare per un certo periodo di tempo(3), non si lasciò sedurre dalla tentazione del denaro anche perché ciò a cui lui aspirava era la fama.(4)  Proprio gli uomini di cultura furono i primi a sostenere il re inglese in questi suoi propositi di guerra ed Erasmo lo definì come “il più ardito degli uomini”.(5)

Poco dopo la sua incoronazione si accentuarono i problemi tra la corona francese e il papato che coincisero, quindi, con i sogni di Enrico sulle crociate e con la sua ostilità verso la Francia; interpretò inoltre la costituzione della Lega Santa da parte del papa Giulio II, con lo scopo di difendere l’unità della Chiesa, sia come una santa causa, sia come l’occasione che gli avrebbe consentito di acquisire prestigio in campo militare.(6)

L’anno culminante della guerra fu il 1513: dopo una serie di scaramucce tra le due parti, l’esercito inglese sbarcò a Calais-occupata dagli inglesi- e fu accolto con grande entusiasmo. Nonostante l’armistizio che Ferdinando II stipulò con la Francia agendo in maniera opposta rispetto a quanto aveva promesso e nonostante l’apporto alla guerra dell’imperatore Massimiliano di Baviera e Margherita di Savoia che fu inferiore alle aspettative, Enrico non abbandonò la guerra dal momento che la riteneva un dovere sacro e non, come la maggior parte degli uomini di potere -papa compreso-, un semplice espediente diplomatico.

L’ingiunzione provenuta da parte di Giacomo IV di Scozia, alleato di Luigi XII, che ordinava di sciogliere l’assedio e rientrare in Inghilterra non fece altro che dare ad Enrico un nuovo motivo per continuare l’impresa e quelle che, fino a quel momento, erano state schermaglie al confine tra l’Inghilterra e la Scozia erano destinante a diventare qualcosa di più serio di cui si sarebbe occupata la regina, uscendone vittoriosa.(7)

Il 16 agosto 1513 si ebbe la battaglia decisiva a Thèrouanne che si concluse con la vittoria degli inglesi e con la promessa di Enrico VIII a papa Leone X di riprendere al più presto l’impresa per portare a termine il progetto di conquista e sconfiggere definitivamente il nemico francese. Sta in questa impresa l’attribuzione dell’aggettivo “Il Grande” riferito ad Enrico ma, a ben vedere, questa guerra favorì di fatto l’imperatore Massimiliano di Baviera che aveva rafforzato i confini dell’impero e distolto i francesi dal proposito di attaccare le sue terre. Inoltre, questa guerra aveva impegnato gran parte delle finanze inglesi e il tesoro della corona reale ne usciva decisamente ridotto.(8)

Al pari delle armi e della guerra, Enrico amava destreggiarsi in dibattiti, specialmente di carattere filosofico e teologico. Per questo inserì a corte un gran numero di studiosi ed umanisti, dei quali almeno tre sono da citare: Richard Pace, un tempo al servizio di Wolsey, svolgeva per il sovrano la funzione di segretario e missioni diplomatiche; John Colet, decano di San Paolo, e Tommaso Moro, avvocato di insuperabile abilità dialettica tanto che sembra fosse in grado di mettere in difficoltà i teologi anche negli argomenti in cui erano più ferrati: questo fatto, accanto alla capacità di valutazione e giudizio nelle questioni più complicate e spinose lo rendeva un membro indispensabile all’interno del Consiglio.(9)

Altra figura di grande importanza di cui Enrico amava circondarsi era il cardinale Wolsey, persona intelligente, di grande influenza e potere, tanto che alcuni dei messi stranieri che visitarono la corte inglese sostennero che il cardinale fosse di fatto il re e che a lui bisognava rivolgersi per le questioni di maggior conto. Non si sa quale fosse la natura dei rapporti tra i due ma le più importanti decisioni di governo erano prese dal re ed anche quelle meno importanti si uniformavano alle sue disposizioni: quindi, nonostante la gestione delle faccende di stato fosse affidata a Wolsey, l’informazione e il controllo del re erano costanti e puntuali. Eccezionalmente, solo una volta il cardinale eclissò il suo sovrano e questo accadde nel 1520, anno in cui egli diresse quasi da solo le operazioni logistiche che resero possibile l’incontro tra Enrico eFrancesco I di Francia, nella Val d’Or (Fiandre), affinchè i due sovrani dessero prova della fratellanza che li univa. In realtà, i preparativi dell’incontro e l’incontro stesso furono vissuti con una certa tensione da entrambe le parti che continuarono a stare all’erta e ad essere pronti per la guerra, specialmente gli inglesi, stando a quanto affermava proprio il cardinale Wolsey.(10)

Le ostilità con il sovrano francese ripresero poco tempo dopo e nel 1521 il cardinale Wolsey era impegnato a concludere i negoziati con gli esponenti dell’imperatore, stabilendo che Enrico si impegnava ad attaccare la Francia l’anno seguente. Il re rivedeva in questa guerra una nuova occasione per riconquistare i domini francesi persi da tempo e a rafforzare la sua motivazione si aggiungeva la nomina a “difensore delle fede” riconosciutagli dal papa. Fin dall’inizio del suo regno, infatti, Enrico si era posto al servizio del pontefice e aveva identificato gli interessi dell’Inghilterra con quelli del papato.

Nel 1523 iniziò la campagna contro la Francia, conclusasi -senza aver ottenuto successi- nel dicembre di quello stesso anno quando, dopo aver perso molti uomini sul campo per via delle avverse condizioni climatiche, Charles Brandon decise di rientrare in patria senza ancora aver ricevuto l’autorizzazione da parte del re.(11) Enrico si convinse in breve tempo di poter ancora intervenire in Francia e predispose una nuova campagna per la primavera del 1524 ma le persone a lui più vicine gli erano contrarie: i consiglieri tentavano di frenare i suoi istinti bellicosi e Wolsey aveva segretamente avviato delle trattative con i francesi. A dare il colpo finale alle aspirazioni di Enrico fu l’imperatore Carlo V(12) che, nel corso delle guerre d’Italia, sconfisse i francesi e fece prigioniero Francesco I, imponendogli di cedere al re inglese quei territori francesi che un tempo erano stati di possesso inglese. Questo evento portava necessariamente a una riconsiderazione dei rapporti fra Enrico e l’imperatore che, per quanto più giovane di lui e nipote della regina d’Inghilterra, non poteva più essere pensato su un piano di inferiorità ed egli stesso ne diede ben presto la prova: dichiarò la sua intenzione di arrivare alla pace con i francesi e, pertanto, se Enrico avesse deciso di combatterli si sarebbe trovato a farlo da solo. Questa volontà di pacificazione implicava che l’imperatore non aveva più bisogno di un legame con l’Inghilterra e questo lo portò ad interrompere il fidanzamento con Maria(13), all’epoca ancora una bambina.

Ad aumentare il disorientamento di Enrico contribuì anche la situazione instabile all’interno del paese: i suoi sudditi, infatti, stremati dagli oneri che avevano richiesto le campagne contro la Francia si rifiutarono di versare ulteriori tributi per sostenere e finanziare tale impresa, anche perché erano allo stremo. Nel momento in cui la protesta iniziava a farsi sentire con più forza Enrico decise di negare di aver chiesto una seconda volta il contributo dei suoi amati sudditi che, con molta facilità, credettero alle parole del sovrano e si convissero del fatto che la richiesta del tributo fosse opera del cardinale Wolsey.(14)

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(1) Ibidem, p. 53
(2) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 50-51
(3)Anzi, sembra che già fosse diventato una sorta di regio prestatore come si legge in Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, p. 12
(4) Ibidem, pp. 51-52
(5) Ibidem, p. 63
(6) Ibidem, pp. 63-64
(7) Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, p. 21
(8) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 68-79
(9) Ibidem, pp. 95-97
(10) Ibidem , pp. 107-115
(11) Ibidem, pp. 135-138
(12)Figlio di Giovanna “la Pazza” di Castiglia e Filippo “Il Bello” d’Asburgo e, quindi, legato ad Enrico VIII dal legame di sangue con Caterina d’Aragona. Per un breve ritratto di Carlo V si veda Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, p. 63
(13)Unica figlia di Enrico a Caterina. Per informazioni circa il fidanzamento con Carlo V si rimanda a Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, pp. 63-66
(14) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 138-145

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Riforma e controriforma attraverso la dinastia Tudor – parte 1/12

Infanzia di Enrico

Colui che passò alla storia come “il grande Enrico” nacque a Greenwich il 28 giugno 1491 da Elisabetta di York ed Enrico Tudor (1) e fu il terzo di sette fratelli (di cui tre morti in tenerà età). Già a due anni aveva ricevuto uno dei primi della lunga serie di titoli onorifici ma il primo di questi veramente importante gli venne assegnato nel 1494 quando venne nominato Duca di York. Il motivo per cui ciò accadde va individuato nel fatto che un falso duca di York si trovava all’estero, in esilio, e il principe doveva incarnare la smentita alla sue rivendicazioni. (2) Questo fu un evento importante perché da quel momento la figura di Enrico iniziò a comparire con una frequenza sempre maggiore nelle spese della corona.

Fin da bambino, pur non essendo l’erede al trono, col suo comportamento, le sue  posture, gli sguardi lasciava trapelare una certa aura di autorità ed Erasmo da Rotterdam lo descrive ad otto anni come dotato di “un contegno regale, che rivelava una certa dignità unita a una singolare amabilità”. (3)

Una grande influenza su di lui venne esercitata dal suo precettore, Jhon Skelton, una figura tanto licenziosa e irriverente quanto dotata di profonda intelligenza; a proporlo come candidato per il giovane principe fu la nonna Margaret Beaufort che sperava il nipote riuscisse ad acquisire da Skelton la stessa prontezza di spirito e irriverenza, doti che -evidentemente- riteneva necessarie per una figura principesca. A parte quest’informazione circa il nome del suo precettore, non sono pervenute altre informazioni circa l’educazione di Enrico.

Sempre in tenera età egli strinse due dei legami più profondi che lo accompagnarono per tutta la vita: quello con William Compton, che fu inserito a corte proprio per fare compagnia al principe Enrico, e quello con Charles Brandon, che -invece- era stato accolto a corte per fare da compagno al principe Arturo. (4) 

Enrico e Caterina

Nel novembre 1501 avvenne il primo incontro tra Enrico, che aveva dieci anni, e Caterina d’Aragona, figlia di Ferdinando d’Aragona ed Isabella di Castiglia. (5) In questa occasione, Enrico aveva il compito di accompagnare la giovane principessa spagnola alla capitale, in attesa delle sue nozze con Arturo, principe di Galles e fratello di Enrico. Il matrimonio del fratello fu l’occasione per Enrico di essere al centro dell’attenzione e di ricevere ammirazione ed adulazioni senza avvertire la stessa tensione dei neo-sposi, che rappresentavano l’unione di due potenti corone: quella spagnola e quella inglese.

La vita di coppia dei due giovani principi, però, sarebbe stata assai breve: poco tempo dopo essere giunti nel palazzo di Ludlow, il principe Arturo si ammalò gravemente e nell’aprile del 1502 spirò. Con una certa sorpresa, la moglie Caterina scoprì di non essere lei l’erede designata dal marito ma la sorella di lui, Margherita. Per un certo periodo di tempo la principessa spagnola visse a contatto con la famiglia reale anche perché prima di nominare Enrico principe di Galles ed erede al trono bisognava esser certi del fatto che Caterina non fosse incinta del marito defunto: in quel caso, l’erede al trono non sarebbe stato Enrico, ma il figlio di Arturo. Sulla consumazione o meno del matrimonio non si hanno prove certe: quel che è certo è che da quel matrimonio non si generarono figli, perciò dieci mesi dopo la morte di Arturo, Enrico venne nominato principe di Galles.

Già da tempo, i reali di Spagna aveva pensato a un nuovo matrimonio tra la figlia Caterina e il principe Enrico ma per ciò era necessaria una dispensa papale in quanto, per legge, un uomo non avrebbe potuto sposare la propria cognata.

Risolta questa controversia, la famiglia reale inglese fu sconvolta da una nuova disgrazia: la regina Elisabetta, incinta del settimo figlio, ebbe un parto prematuro e morì pochi giorni dopo l’evento; nel giro di poco tempo l’avrebbe seguita anche la figlioletta appena nata. In poco meno di anno, la dinastia Tudor aveva perso due dei suoi membri più importanti e ciò contribuì a far crescere Enrico con un profondo senso di paura verso la morte e verso le malattie letali che potevano essere evitate solo con costanti precauzioni. (6)

Nel frattempo, il principe Enrico veniva educato all’arte del governo, seguito dal padre, in un momento in cui il regno viveva un periodo di pace e di prosperità. Il giovane principe di Galles non avrebbe potuto sperare in una guida migliore: la ricchezza, la consumata abilità nel governo, lo sforzo costante per accrescere il prestigio dell’Inghilterra nell’ambito europeo facevano di Enrico VII un maestro ideale per il figlio. (7) Enrico imparò molto dal padre, sia per quel che riguardava i modi e lo stile della regalità sia per quel che riguardava i meccanismi politici e il cerimoniale di corte ma ereditò dal padre anche due dei suoi difetti: quello di prestare troppa inclinazione alle proprie manie e quello di lasciarsi andare ad accessi di malumore; Enrico VII non fu in grado di insegnare al figlio la discriminazione sussistente tra uso ed abuso del potere. (8)

Enrico VII morì il 21 aprile 1509 e da quel giorno il principe Enrico fu re. Il re Enrico VIII. (9)

Sette settimane dopo la morte del padre, nel giugno 1509, Enrico VIII convolò a nozze con la do
È difficile capire, quindi, che cosa abbia spinto Enrico VIII a sposare questa donna. Si è detto che a convincere il nuovo re sia stato il nervosismo dei consiglieri, o quel trattato stipulato con la Spagna, o la possibilità di avere accanto una donna di rango confacente e di aspetto accettabile. Si è anche parlato di una lettera inviata da Enrico a Margherita di Savoia in cui il re dichiarava di aver esaudito la volontà del padre in punto di morte (14) e dell’influenza esercitata dalla nonna, Margaret Beaufort. Fatto sta che Enrico VIII sposò Caterina e questo matrimonio può essere visto come un primo tentativo di sottomettere la religione alla volontà politica, visti i motivi che -in un primo momento- impedivano le nozze tra i due.nna che era stata sua cognata, Caterina d’Aragona nella cappella dei frati minori di Greenwich. (10)

Questo accadde nonostante i problemi che in tempi recenti vi erano stati tra le due corone: infatti Enrico VII nel corso di un viaggio di Giovanna di Castiglia ed il marito Filippo “il Bello” d’Asburgo si era invaghito della donna e, in seguito alla morte di Filippo, aveva iniziato a sperare di poter concludere un matrimonio con lei. A sedurlo, oltre alla bellezza della donna, ebbe un buon peso anche l’eredità di Giovanna ovvero il regno di Castiglia. (11) I reali spagnoli, però, ritenevano impossibile la realizzazione del sogno di Enrico VII: già da tempo si parlava della presunta pazzia di Giovanna (12), fatto che gli inglesi si dicevano disposti ad ignorare pur che non fosse messa in dubbio la sua capacità a generare figli ma Ferdinando II fu irremovibile e non concesse ad Enrico VII di sposare la figlia. Questa decisione, a cui si aggiunse il mancato pagamento di una parte della dote di Caterina, inasprì i rapporti tra Inghilterra e Spagna e quello che era ancora il principe Enrico, su ordine del re, suo padre, protestò formalmente contro il trattato che era stato stipulato in tutta segretezza al palazzo di Richmond dinanzi al vescovo di Winchester a proposito della sua unione con la principessa spagnola. Il matrimonio che avrebbe dovuto aver luogo al compimento del quattordicesimo anno di età di Enrico non si realizzò e, da quel momento, Caterina fu poco più che un ostaggio diplomatico (13).
È difficile capire, quindi, che cosa abbia spinto Enrico VIII a sposare questa donna. Si è detto che a convincere il nuovo re sia stato il nervosismo dei consiglieri, o quel trattato stipulato con la Spagna, o la possibilità di avere accanto una donna di rango confacente e di aspetto accettabile. Si è anche parlato di una lettera inviata da Enrico a Margherita di Savoia in cui il re dichiarava di aver esaudito la volontà del padre in punto di morte1 e dell’influenza esercitata dalla nonna, Margaret Beaufort. Fatto sta che Enrico VIII sposò Caterina e questo matrimonio può essere visto come un primo tentativo di sottomettere la religione alla volontà politica, visti i motivi che -in un primo momento- impedivano le nozze tra i due.

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(1) Per un breve ritratto dei due sovrani si veda Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, pp. 26-28
(2) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p. 16
(3) Ibidem, p. 19
(4)  Ibidem, p. 21
(5) Per un breve ritratto dei “re cattolicissimi” si rimanda a Erickson C., Maria la Sanguinaria, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2007, pp. 24-26
(6)  Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, pp. 34-36
(7) Ibidem, p. 37
(8) Ibidem, p. 38
(9) Ibidem , p. 43
(10) Ibidem, p. 44
(11) Ibidem, pp. 39-40
(12) Per una modesta conoscenza circa l’argomento si rimanda a VILLANUEVA J., La regina che doveva essere pazza, in “Storica”, 22, 2010, pp. 72-83
(13) Erickson C., Il grande Enrico, Cles, Mondadori, Oscar Storia, 2008, p.40
(14) Ibidem, p. 44

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