Riforma e controriforma attraverso la dinastia Tudor – parte 12/12

Nel 1570 arrivò la scomunica di Elisabetta da parte del papa e, poco tempo dopo, in occasione dell’anniversario della sua ascesa al trono le campane delle chiese protestanti suonavano a dispetto del papa e di quel mondo cattolico che vedeva Elisabetta come una regina destituita. Ciò diede coraggio ai cattolici, come per esempio il banchiere fiorentino Ridolfi che cercò l’appoggio di Maria Stuarda e di Norfolk, che nel 1569 era stato uno dei cospiratori, ma non ottenne quello del papa, del sovrano spagnolo e del duca di Alva che fece fallire il tutto e portò alla condanna a morte di Norfolk.(1)
Quando iniziò a girare la voce sulla decisione della regina di sposare il francese duca D’Alençon(2), però, si accese il malcontento del popolo intero che, come sempre, non vedeva di buon occhio l’unione con uno straniero. Iniziarono, dunque, a circolare libelli che tentavano di scoraggiare Elisabetta dal compiere un tale passo, enumerando i difetti e i vizi del duca, e sostenendo che all’età di quarantasei anni non avrebbe dovuto esporsi al rischio di una gravidanza: sembrava cessato il desiderio di un erede o, quantomeno, di un erede nato dal grembo della regina. Questa era, in particolare, la visione dei puritani, che avevano una concezione della condizione umana radicale e intransigente e, per quanto protestanti, diedero il via ad una contro-chiesa interna. Eppure, vi era anche una buona parte di inglesi che riteneva una farsa le varie trattative per il matrimonio della sovrana.(3)

La situazione inglese sembrò peggiorare nel momento in cui, non solo gli esuli cattolici inglesi rifugiatasi in Spagna e un po’ ovunque nel continente, ma soprattutto il papa iniziò ad incoraggiare Filippo II per compiere un’impresa contro Elisabetta al fine di deporla dal trono e sostituirla con Maria Stuarda. Ricordiamo che tra il regno inglese e quello spagnolo già da tempo si era verificata una rottura: a dire il vero, Filippo non aveva mai approvato Elisabetta, ma la situazione si incrinò bruscamente a partire dal momento in cui la regina aveva contrastato la sua azione nei Paesi Bassi, finanziandone la ribellione, ed incitando i pirati inglesi ad attaccare le sue flotte sottraendogli l’argento. A questi problemi si aggiunsero le trattative per il matrimonio con il duca d’Alençon che rischiavano di minare la debole alleanza tra gliAsburgo e i Valois.(4)Sembra che l’affetto della regina nei confronti del duca fosse sincero ma problemi politici misero le due corti in disaccordo e il matrimonio non ebbe luogo.(5)

Così come la sorella Maria aveva condannato al rogo senza pietà i protestanti, Elisabetta fece la stessa cosa con i cattolici mutando la pena: dal rogo all’impiccagione. Nel ventennio 1570-90 il numero dei cattolici crebbe e dalla tacita complicità ai rituali del protestantesimo passarono ad un’opposizione militante diventando dissidenti, non partecipando ai servizi liturgici, non facendo la comunione, non prestando attenzione ai sermoni e ascoltando, in segreto, la messa. A rafforzare la loro fede furono proprio le condanne proclamate dalla regina che facevano delle spoglie dei martiri delle nuove reliquie. Le leggi contro la dissidenza religiosa trovò una rinnovata applicazione nell’estate 1580 con una serie di rastrellamenti che miravano a scovare quei cattolici che non intendevano uniformarsi alla religione scelta dalla regina.(6)

Lo scontro tra Inghilterra e Spagna assunse concretezza alla fine del 1585. Al comando della flotta inglese vi era Leicester che doveva condurre l’esercito in Olanda per muovere guerra alla Spagna. Ben presto arrivò la notizia che vedeva gli spagnoli impegnati ad allestire una potente flotta per contrastare l’Inghilterra.(7)
Un grave errore fu compiuto da Leicester che si era proclamato governatore assoluto degli Stati Uniti dei Paesi Bassi, cosa che non solo moltiplicava gli obblighi degli inglesi nei confronti degli olandesi ma innescava anche la reazione armata degli spagnoli, senza contare il fatto che quando ad Elisabetta giunse la notizia ancora non aveva ricevuto informazioni ufficiali dal messaggero di Leicester e si può facilmente intuire l’ira che la colse e che riversò su chi le stava intorno. Ella pensò di richiamare in patria il disobbediente conte ma i suoi consiglieri riuscirono a persuaderla a non farlo; tuttavia ormai la campagna era sfumata nell’inimicizia e nello squallore e questo fece decidere per un suo effettivo richiamo.(8)

Anche per via della morte di Maria stuarda, condannata a morte dopo che si trovò il modo per incolparla di un presunto complotto volto ad uccidere la regina,(9) Filippo II si decise a muovere guerra all’Inghilterra vedendo nella sua flotta, l’Armada, una flotta crociata e nella sua missione una guerra santa ritenendo che tutta la ricchezza e il potere accumulati nel corso del suo regno dovevano essere utilizzati per distruggere l’eretico dominio di Elisabetta.
Si iniziarono a diffondere stime circa l’allestimento della flotta portato avanti da Filippo a cui si aggiunsero false notizie che non fecero altro che terrorizzare gli inglesi, che si preoccuparono anche di quella che avrebbe potuto essere la reazione dei cattolici una volta che gli spagnoli li avessero raggiunti.
Mentre il paese si stava preparando a una difesa, l’Armada, che non era né tanto “fortunatissima” né tanto “invincibile” come era stata definita, colava a picco in una tempesta al largo di Capo Finisterre; infatti, da quando aveva lasciato Lisbona era incappata in una serie di disastri venendo deviata verso sud e quando -finalmente- riuscì a dirigersi lentamente verso nord gli uomini iniziarono a morire a causa dell’acqua infetta e del cibo guasto. A dare il colpo finale fu un’altra tempesta che la costrinse alla ricerca di un porto. Il duca di Medinia Sidonia, al comando della flotta, si perse d’animo e non si sentiva di procedere in una tale impresa vedendo le poche chances che aveva di ottenere un esito vittorioso ma il re gli ordinò di procedere, certo che la loro spedizione fosse nelle mani di Dio, il quale non avrebbe potuto impedire il lieto compimento di quella missione divina. Alla fine di luglio, l’Armada fu avvistata nei pressi della costa inglese nei pressi di Tilbury(10) ma a distanza di due settimane da questo avvistamento le notizie erano scarsissime così che la regina decise di recarsi ella stessa nella zona, sia per apprendere notizie sia per incoraggiare i suoi soldati. Si seppe che la flotta spagnola aveva gettato l’ancora nei pressi di Calais, in attesa di rinforzi, cercando di evitare i colpi causati dalle navi inglesi ma riportando, comunque, gravi danni. I marinai inglesi che avevano resistito alle pessime condizioni in cui versavano e alla carenza di risorse pur di servire il proprio paese iniziarono a morire di tifo a centinaia, cosa che fece esultare non solo gli spagnoli ma tutti i paesi cattolici. Le voci che davano gli inglesi per spacciati erano premature e, sulla strada del ritorno, l’Armada venne sorpresa da un’altra tempesta che disperdeva, se non inghiottiva, una buona parte della flotta; i superstiti giunti sulle coste irlandesi furono giustiziati dai soldati inglesi.(11)
La sconfitta subita dagli spagnoli li aveva spronati a rafforzare la propria marina e, nel giro di un decennio, riuscirono nell’intento e dimostrarono subito quale fosse il loro primo obiettivo spostando le proprie forze di terra in Piccardia e Bretagna per tentare di acquisire un porto francese da cui invadere l’Inghilterra. Nel frattempo, Filippo era anche intervenuto in Irlanda inviando rifornimenti per sostenere il ribelle Tyrone ordinandogli di scandagliare le coste al fine di individuare un approdo con acque profonde. Nel frattempo, alla corte inglese era giunto l’ambasciatore francese De Maisse col compito di sondare le intenzioni della regina a proposito di una guerra con la Spagna(12) ed in particolar modo la ratifica della pace con la Francia.(13) Il soggiorno dell’ambasciatore alla corte inglese si prolungava senza esiti finchè non si risolse ad affrontare di petto la questione chiedendo ad Elisabetta quali erano le sue decisioni a proposito della guerra con la Spagna e delle truppe inglesi stanziate in Francia. Ella sostenne di aver già provveduto a richiamare i soldati in patria; diede in escandescenze parlando del sovrano spagnolo e dei suoi uomini e tentò di temporeggiare per evitare un’alleanza tra Francia e Spagna, tentando di persuadere De Maisse con quelle notizie che davano Filippo per moribondo: l’ambasciatore sapeva, però, che queste notizie non sarebbero state gradite dal proprio sovrano che avrebbe comunque tentato di intavolare trattative con gli spagnoli, arrivando ad una rottura diplomatica con l’Inghilterra.(14)

Il regno di Elisabetta volgeva alla fine. Gli ultimi regni di anno furono dominati da problemi finanziari (tanto che Elisabetta si decise ad impegnare i tesori di famiglia) che crearono scompiglio e malumori tra il popolo, a cui si aggiungevano le minacce di morte, non più da parte dei sicari mandati da Filippo (morto nel 1598) ma da altri uomini desiderosi di por fine alla vita della regina, chi per motivi politici, per vendetta o per follia.(15) Eppure il giorno del suo ultimo discorso alla Camera dei Comuni, nel 1601, la nota eloquenza che aveva sempre sfoggiato nel corso dell’intero regno la fece splendere in tutta la sua gloria e riuscì a toccare il cuore degli ascoltatori. La regina vergine, però, diventava sempre più debole anche se alla debolezza fisica non si accompagnava quella dello spirito, che ella continuava a soddisfare con letture e traduzioni importanti,(16) almeno fino a quando la vecchiaia non compì il suo corso conducendola a uno stato di demenza senile che si portò dietro fino al giorno della morte, 23 marzo 1603.(17)

 

 

 

 

 

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(1)  Erickson C., Elisabetta I, Cles, Mondadori, 1999, pp. 230-231
(2)  Figlio del re di Francia, Enrico II
(3)  Erickson C., Elisabetta I, Cles, Mondadori, 1999, pp. 250-266
(4)  Ibidem, pp. 270-271
(5)  Per maggiori informazioni si veda Erickson C., Elisabetta I, Cles, Mondadori, 1999, pp- 274-280
(6)  Erickson C., Elisabetta I, Cles, Mondadori, 1999, pp. 281-287
(7)  Ibidem, pp. 290-293
(8)  Ibidem, pp. 298-300
(9)  Ibidem, pp. 305-308
(10)  Ibidem, pp. 311-316
(11)  Ibidem, pp. 319-322
(12)  Ibidem, p. 327
(13)  Ibidem, p. 330
(14)  Ibidem, pp. 337-338
(15)  Ibidem, pp. 340-342
(16)  Ibidem, pp. 347-348
(17)  Ibidem, pp. 355-356

 

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